Sécan, incantatore eclatante

 

 Ho infine avuto la gioia di vedere una esposizione di Sécan, e quale esposizione!

Non conoscevo di lui fino ad ora che una straordinaria pittura murale al Palazzo dell’UN di New  York, pittura irradiante uno straordinario incantamento di spazio panteistico.

Per caso i nostri perpetui viaggi non ci avevano mai fatto incontrare: ora è accaduto, da qualche mese, e ho trovato attraverso le sue opere e più specificatamente quelle raggruppate per il Palazzo Reale di Milano,  un pittore di un’eccezionale levatura, uno dei più autentici pionieri, con Hans Hofmann, di questa evoluzione dell’espressionismo astratto, dell’astrazione lirica e della nozione stessa di spazio pittorico quanto assiomatico… ho anche trovato un amico… ed è con grande piacere che presento la sua opera.

Al tempo del nostro primo contatto, quando gli ho confidato le mie riserve circa la definizione di “informel”, e anche del parlare di “ arte informale”, non avendo la parola informale di cui sono responsabile mai rappresentato se non un terreno totalmente neutro da rendere significativo nel “ campo artistico”, è Sécan che ha parlato per primo di subformel sul quale vorrei dare qualche chiarimento.  Senza conoscermi, Sécan aveva letto i miei libri ed è per gentilezza di affinità che egli aveva legato questo aggettivo concernente la sua opera al mio informale di cui si è, ahimè, d’altronde tanto abusato.  Nel suo caso, subformel, legato al subconscio, vuol dire esplorare le “ profondità ” quando il pragmatisno d’espressione artistica le vede allo stato naif nell’atto di dipingere, per arrivare, tentando appassionatamente di arrivare, in ogni caso, a una specie di meta-immagine ( o meta-figurazione) incarnante in un maximum di efficienza artistica il mondo magico dei segni ignorati dal tempo del “ Paradiso Perduto”, o della “ caduta degli angeli”, il che ci porta felicemente agli antipodi di una preistoria bestiale – selvaggia in cui l’arte degna di questo nome non trova il suo posto e non dispiace agli attuali partecipanti di certi fenomeni regressivi …

Sécan è un raffinato per il quale complessità significa ricchezza, al bisogno violenza inclusa, e da qui deriva una straordinaria pienezza: quale prova di forza meravigliosamente incantatrice rappresenta, per la nostra psico-sensorialità di amatori d’arte, la presa di contatto con l’insieme di queste opere, alcune di dimensioni molto grandi, riunite sulle sole pareti dell’immensa sala della Cariatidi, senza nessuna rottura di ritmo dello spazio dovuta a  divisorie o statue, e dove giocano liberamente le sole limitazioni estetiche di queste opere definitivamente esplosive in un felice paradosso di metamorfosi essenzialmente artistiche ove l’istante del nostro “ ora” testimonia dell’eternità meravigliosamente illusoria del tempo su scala umana, ai limiti se non oltre i limiti della nostra percezione.

A questa potenza la gioia diventa drammatica e la tragedia un incantamento: nel contenuto delle opere di Sécan c’è una magia irresistibile analoga alle liberazioni  percettibili nei “ GATHAS” di Zarathoustra come nella “ Volontà di Potenza” di Nietzsche, e nelle poesie di Tristan Tzara e Ezra Pound: queste analogie convincono meglio di abusi linguistici come presentazione critica.  Sono testimone di ciò che amo: l’opera di Sécan, e attraverso essa, la felice prova di forza che felicemente ci propone, e dunque impone agli “ amatori d’arte”, irradia una gioia magica e al contempo un’etica, un’arte di vivere tanto rara quanto necessaria, perché là è tutta la questione, superate le “ mode” e i loro tabù di indifferenza…  La pittura dipinta non è morta, ma piuttosto lo sono quelli che vogliono farlo credere.

L’opera di Sécan è dunque anche un déjà di alta classe: agli amatori capaci di innalzarvisi per viverne l’incantamento - magico perché essenzialmente artistico.

 

 Michel Tapié 13/7/’71

 

                                                 

          Esteticamente parlando si tratta rigorosamente qui di un “ artista “ essenziale  nel quale potenza e qualità di creazione seducente e incantatoria sono indissolubili. 

          Sécan uno dei rarissimi pittori completi della sua generazione e, che io sappia, di questo “oggi” in cui un’arte necessariamente “autre” s’impone contro tutte le trappole delle mode di consumazione.

          Il suo comportamento etico non può che essere (e continua…) così segreto e compartimentato che egli è una sorta di vedetta quasi ignorata dal mondo dell’arte sia da quello autentico, sia dal preteso tale. Nello stesso tempo pittore di sovrani e di corti, nel mondo intero dall’età di diciassette anni, e uno dei grandi partecipanti all’essenziale dell’avventura artistica post-Dada, egli ha subito capito, ahimè ma con ragione, che questi due mondi non potevano incontrarsi in lui, da qui doppia vita artistica con due atelier il più possibile lontani l’uno dall’altro, con tutto quanto ciò  implica nel comportamento quotidiano… Da qui anche la stranezza del mio stesso  incontro con la sua prima opera, poi, parecchi anni dopo, con lui.

Una stranezza che continua, al meglio del resto.

          Dunque un giorno di qualche anno fa, arrivando a New York, prima tappa di un ulteriore giro del mondo, un amico mi consiglia di andare a visitare il Palazzo delle Nazioni Unite appena finito, dove una decina di pittori e scultori tra i più conosciuti nell’avanguardia mondiale erano stati invitati a fare dei murales e dei monumenti; a priori nulla da scoprire per me, ma ecco che, sedotto da un murale su cui non sono capace di mettere un nome tra quelli dell’avanguardia prestigiosa e infine consacrata, un custode mi pronuncia all’americana il nome di Sécan, senza sapermi informare circa la sua nazionalità.  Ammiro il quadro e la mia memoria visiva lo registra, ma la mia altra memoria sempre fallibile dimentica il nome dopo alcuni minuti.

          Gli anni passano, la vita continua… Nel corso del 1971, invitato da Renzo Cortina a una riunione molto privata in cui dovevo dire qualche parola sul pittore Crippa a proposito di una edizione di litografie per le quali avevo scritto uno dei testi introduttivi, durante il cocktail, un signore in nero, assai distinto, mi si presenta e mi dà il suo biglietto da visita, desiderando mostrarmi i suoi dipinti, con molta discrezione.

Come stabilito dovevo rientrare a Torino nella notte e prendere l’aereo per Parigi l’indomani mattina, e noi eravamo rimasti del tutto nel vago riguardo un appuntamento per una data allora impossibile da fissare… Con la mia memoria avrei potuto dimenticare tutto. Ma rientrato a Torino trovo un messaggio che cambia tutti i miei programmi e mi obbliga a ritornare a Milano l’indomani, cioè qualche ora più tardi. E là, cercando l’indirizzo in una zona che non conoscevo bene, decido di lasciare la mia auto in un piccolo spazio, dove, manovrando per parcheggiare, passa a un metro da me sul marciapiede, senza vedermi, il distinto pittore della sera precedente!

Da buon discendente degli “albigesi” non credo al caso e per questo lo chiamo e, due ore più tardi, pranzando insieme nella simpatica atmosfera di una viva amicizia incipiente, egli mi mostra infine un documento, prima di andare all’atelier, ed eccomi tanto stupefatto quanto felice davanti alla riproduzione del Sécan delle Nazioni Unite di cui avevo conservato buona memoria, con ammirazione. Ammirazione, questa,  confermata oltre ogni speranza alla vista di qualche altro grande dipinto nell’atelier… e, qualche mese più tardi, Sécan, invitato ad esporre da solo al Palazzo Reale di Milano come era avvenuto soltanto per Picasso e Boccioni prima di lui, mi forniva l’occasione di dar testimonianza della sua opera nel libro-catalogo edito per questo appassionante evento.

Ecco: e da allora ho la grande fortuna di conoscere un grande artista in più ( non ce ne saranno fortunatamente e sfortunatamente per altre ragioni, mai molti, ed è normale…).

          Georges Sécan, nato da padre francese e da madre scandinava, ha trascorso quasi tutta la sua vita fuori dalla Francia, in Egitto, in India, negli Stati Uniti e in molti altri luoghi, per ragioni essenzialmente professionali, nel miglior senso di questa parola, dualità sécaniana inclusa.

          L’opera pittorica di Sécan partecipa delle successioni attualizzate dell’espressionismo, prima aggressivamente figurativo poi liberamente astratto come in una sincronizzazione ignorata, e ciò riguarda anche alcuni altri, catalogati nell’ ”action painting” o nell’ ”espressionismo astratto”, come, un esempio di alto prestigio, Hans Hofmann che, dopo aver debuttato a Monaco nei primi giorni  dell’espressionismo tedesco intorno al 1910 e aver creato là una scuola nel 1920, dove, fino a Hitler, erano venuti allievi seri da tutto il mondo, poi rifondò a New York una scuola simile agli inizi degli anni quaranta, e qui noi menzioniamo De Kooning, tra gli altri, anche soprattutto perché la sua evoluzione da allora è sorprendentemente parallela a quella di Sécan, pur ignorandosi del tutto l’un l’altro, nella più alta qualità di una autenticità artistica che vincola necessariamente l’estetica ad elevarsi a un’altra potenza, il che fa essenzialmente parte della sublime avventura di oggigiorno da cui dovrà liberarsi un’etica anch’essa “autre” e alla stessa potenza…e niente di meno una volta di più!

          Mi fa piacere qui citare qualche opera di Sécan, di cui conosco i titoli grazie alle pubblicazioni nelle quali sono state riprodotte: “Sei personaggi in cerca d’autore”(1942), “Sole e pianeta”(1944), “Pavone e giardino”(1946), ”Ritmica lacustre”(1951), “Il canto del gallo”(1958), “Paesaggio a Varese”(1965), e ancora, senza data: “Mare e vita”, “Fuga”, “Fine e disintegrazione”, “Spiritualizzazione”, “Maschere e stelle filanti”, “Per la primavera”, “Contestazione”, “Ricerca”, e tante altre, perché le sue opere parlano la loro lingua, che è la sua: profondamente, meravigliosamente, magicamente, poiché c’è ARTE in quanto c’è ARTISTA…e Sécan lo è, lo è stato e continuerà ad esserlo, per il nostro “incantamento”.

 

Michel Tapié

 

Universalità di Sécan  di  L.B.  1969

 

 Cogliere Sécan; fermare per un attimo la sua veloce vicenda in un frammento, che rifletta il suo stato di grazia.  Questo, il primo impulso che nasce spontaneo dall’incontro con l’artista.

La totalità dell’uomo, gli spessori imprevedibili della sua personalità, certo sfuggono ai limiti di un rapido profilo.  Eppure, nell’ampio flusso di calore e di tensione che avvince in tenace rapporto dialettico l’uomo, il personaggio e l’artista, alcune note più alte, più armoniose e penetranti già si staccano e creano da sole un magnetico concerto.  E’ appunto la musica, nei suoi valori squisitamente astratti, l’immediato riferimento che la presenza di Sécan suggerisce.  E’ un uomo pieno d’armonia, è un uomo pieno d’amore.  Prima di parlare ringrazia; prima ancora di fermare il pensiero su un oggetto, su una persona, se ne innamora.  Questa sensibilità tesa, però, ha un suo modo scarno e dolce di manifestarsi, ed è incalzata di continuo dall’inquietudine di un pensiero che fruga nella natura e nei volti, nell’universo e nei piccoli oggetti, contemporaneamente, cercando la soluzione di un suo pungente problema.  Quindi la conversazione scorre frammentaria, il rigore logico del pensiero si spezza in mille scintille di curiosità, di gentilezza, di pudore. Sécan, mentre parla di sé, parla dell’uomo che ha davanti alterna il racconto dei suoi lunghi solfeggi poetici con le più incredibili, ingenue domande, quasi a cercare umilmente una verifica, un chiarimento su se stesso e la  propria arte, come pronto a cominciare da capo, con pensieri nuovi e un diverso punto di partenza, il suo processo di ricerca.  E’ dunque un uomo di una generosità stupefacente, disponibile a ogni silenzio, a ogni fremito, a ogni sorriso, disponibile a ogni dialogo, purché ne avverta il calore e la semplicità.  Ma vi è una radice forte, piantata al centro di questa dolcezza, che mantiene Sécan in una zona  rarefatta dai limiti invalicabili.   E non è solo la sua grande cultura, né l’umore multiforme delle sue ricche esperienze.  E’ la coscienza. Un perno preciso, saldo, punto d’avvio e di riferimento di tutto il suo mondo.  E’ l’asse intorno a cui ruota, insieme a Sécan, chiunque incroci il suo cammino e con lui anche per breve tratto s’accompagni.  Ma quale tipo di coscienza?  Una definizione appare difficile, per il timore di limitarne i contorni o di mortificarla con un’etichetta banale.  Essa comunque si manifesta come la consapevolezza di una propria energia attiva nel cuore dei vari processi che compongono la civiltà e la storia, a loro volta frammento di un incommensurabile processo universale.  Questa è la presenza di Sécan, inquieto testimone e consapevole protagonista del moto che ci comprende e ci trascende e di cui costantemente impone il pensiero, nella sua spaventevole dolcezza.  In questa luce,Sécan appare dunque come un iniziato, depositario della chiave della verità.  Questa è anche la testimonianza dei suoi più recenti, grandi cicli pittorici.  Il suo, è un processo di pensiero incontrovertibile.  E’ partito dalla presa di coscienza dello spazio, dalla visione del caos.  Ma da dove questo vuoto?  Da dove questo universo?  E quale l’essenza del caos?  Sécan a questo punto ha uno strappo; allora, lucidamente avverte che nel nulla, comunque, esiste uno spazio in cui una matita non può stare.  Ecco il primo aggancio diretto col suo lavoro.  E proprio da questo aggancio lievita il momento della sicurezza: la ricerca ha portato Sécan alla certezza che il nulla non esiste.  Esiste piuttosto un’altra equazione; in base ad essa il nulla è uguale al nulla più il tempo.  Il cerchio è spezzato.  Dal nucleo centrale della concentrazione diparte, sotto l’impulso del tempo, come una forza centrifuga che agisce secondo un movimento a vortice; e ogni punto del vortice ha un suo moto interno a spirale: tutta la visione dell’artista si dilata in questo ritmico processo di energie.  E dal pensiero la pittura fiorisce nel suo vasto respiro.  Il centro del movimento ha un suo peso da cui erompe il colore: il valore magnetico del rosso, fluisce, nel moto vorticoso, verso tonalità più chiare e leggere, fino a toccare il bianco.  Il bianco, per essere tale, ha bisogno di tutti i colori, allo stesso modo come il nulla è formato da tutti gli elementi.  Il medesimo processo analogico si ripropone tra la luce, summa di elementi preesistenti, e l’uomo.  Ecco quindi come, attraverso un difficile procedimento analitico, Sécan ritorna alla vita contingente.  Rinasce un’emozione, un nuovo ciclo creativo prende vita e si configura nella serie delle “Reazioni”.

Quando Sécan racconta questo suo lungo viaggio interiore, pare volersi giustificare davanti a chi lo ascolta. E s’interrompe, portando a sua inconsapevole difesa qualche patetico ricordo degli anni di formazione.  Perché non ci si spaventi della sua conquista di libertà, della sua audacia. Lievitano allora, dalla memoria, le immagine fumose dei caffè parigini, dove il giovane s’incontrava con i più grandi pittori del tempo, accostandosi ora dopo ora al particolare respiro della loro travagliata vicenda. I ricordi si accavallano.  I primi passi alla filovia di Spinosa, di Kant, gli incontri musicali con Klee.  Rientra in questo stesso processo di formazione e in questa fase di scelte anche la risoluta volontà di Sécan di sottrarsi alla schiavitù del rapporto mercantile.  Concluso questo primo ciclo, il giovane artista viaggia il mondo, esegue ritratti, s’abbandona alla natura.  Qualche cosa pare agitare a questo punto i suoi ricordi.  E dichiara le sue fatiche, le sue ricerche, la lotta quotidiana contro la naturale abilità nel cogliere un volto, un atteggiamento.  Deve essere stata una grande fatica,, snervante; è l’anima che deve cantare, è lo spirito che deve guidare la mano nell’atto creativo.  Attraverso questa dura disciplina, Sécan è riuscito ad affermare la propria libertà anche inventiva e di trasfigurazione, mediante la sollecitazione dell’aspetto esteriore delle cose con l’impulso interiore.  E questo è l’atteggiamento di Sécan anche davanti alla natura.  Rapito nella contemplazione di una fuga di nubi, di un vasto tramonto, del gioco mutevole di uno specchio d’acqua e di un intreccio di fronde, Sécan ha vissuto una lunga stagione di studio che l’ha trascinato in una dimensione magica; perdendo progressivamente la sensazione dello spazio e del tempo, egli si è sempre più immerso, fino alla contemplazione totale, nella natura; ma nell’attimo in cui vi si perdeva, ritrovava anche se stesso: la matassa lucente delle sue sensazioni, come rigenerata da quel fluido, scioglieva allora, in un immediato atto di liberazione, l’appunto trasfigurato di quel vasto concerto.

Sécan ha superato oggi quella fase d’abbandono alla natura. Ma la sua libertà inventiva, la sua apertura poetica è tale, che in qualunque attimo si presenti un incontro magico con un paesaggio, con un fiore, con un viso sollecitante, torna nella sua pittura il momento delle trasfigurazioni.

Anche questo è un segno della grande libertà e del profondo equilibrio di Sécan; anche questo nasce direttamente dal punto fermo e costante del suo essere e del suo divenire.

Lasciamo ora parlare tra i molti, autorevoli critici che hanno studiato la pittura di Sécan e andiamo con loro lungo le grandi volute di questa ricca vicenda.  Il nostro pensiero su Sécan, percorrendo le sue dimensioni umane, si arresta alle sorgenti delle sue ragioni poetiche.  Ma prima di seguire il corso impetuoso del suo fiume, vogliamo dedicargli un’immagine che ci pare lievitata direttamente dal suo universo; sono parole di Shakespeare, prese da “La Tempesta”:

“…we are of such stuff

As dreams are made on, and our little life

Is rounded with a sleep...”

In questi versi Sécan sicuramente ritrova qualche seme delle sue inquietudini.

Abbiamo detto della grande libertà di Sécan.  Così Garibaldo Marussi coglie questo valore, presentando il Maestro nel suo momento d’artista e nelle sue scelte:

“Bisogna conoscere l’uomo Sécan per capire il personaggio e l’artista.

Schivo e ritroso, poco propenso a parlare di sé e della propria arte, Sécan opera in silenzio, perduto dietro ai propri sogni e alle proprie fantasie.  E’ scrittore e critico, musicista per le vacanze che si concede sulla tastiera.  Un uomo completo dal punto di vista intellettuale e per ciò stesso molto geloso della propria libertà, per cui gli diventano molto difficili i rapporti con i mercanti.  Sécan non vuole avere imposizioni, né subire costrizioni.  Recentemente aveva assunto un impegno per una serie di mostre negli Stati Uniti.  Tutto era già stato stabilito: gallerie, luoghi, date.  Ma una sua improvvisa resipiscenza, la preoccupazione di dover sottomettersi a scelte, a indirizzi lo ha spinto a disdire tutto.

In sostanza potremmo affermare che Sécan tende a mantenere la propria libertà, e, come ha scritto di recente in una rivista francese, non intende ‘piegarsi a un genere definito’.  Perché come ha scritto ancora, ‘per operare in perfetta consonanza con il proprio intimo, basta trovare l’occasione di un colloquio con quanto ci circonda.  La materia poetica poi trova, di per se stessa la propria forma, che può essere astratta, informale oppure no.  Tutto dipende da quanto si porta dentro e dalla carica emotiva dell’io’ ” .   

E’ una dichiarazione che delinea i contorni della sua natura d’eccezione.  E la pittura di Sécan ne è specchio fedele, personale e inconfondibile.  Sono tali riflessioni che certo hanno suggerito a Raymond Charmet  queste parole:

“Nel nostro tempo che il litigio tra l’arte astratta e l’arte figurativa ha creato tanti malintesi, l’opera di Sécan porta una testimonianza nuova, profonda, particolarmente luminosa sull’essenza pura della pittura. Le tele di Sécan sono delle proiezioni dell’anima sulla natura, tanto intime e intense che i limiti tradizionali delle scuole si cancellano in una creazione personale ove la realtà e lo spirito ritrovano la loro primitiva e fondamentale unità.

Lo spettacolo del vasto mondo, dell’Italia e delle Francia, dell’Africa, dell’Asia e dell’Europa, dei mari e dei monti, che Sécan ha percorso e guardato con divorante passione, gli ha dato il sentimento del cosmos, ove vibra una forza assoluta, ove risuona una musica eterna.

Questo slancio insondabile, che gli Antichi chiamavano il grande Pan e dove i Moderni captano le terrificanti energie, Sécan lo ritrae nel più profondo del suo cuore, tanto davanti i furori che si lacerano sotto un cielo di temporale, quanto nella dolcezza vertiginosa di una landa nostalgica.

Gli informali del nostro tempo, tra i quali molti hanno guardato con meraviglia ed ammirazione le opere di Sécan, sognano nel loro spirito, di ricreare sistematicamente questo paradiso perduto.  E’ col suo cuore, in un isolamento risoluto, con una modestia dolce ed ammirevole che Sécan ha intrapreso, tale il mistico cavaliere, il puro Parsifal,di ritrovare la strada del Graal incantato.  Sulle sue tele, ove fremono dei toni smorzati, ove le forme s’esaltano e si allacciano come le ‘filles-fleurs’, ove la ronda degli elementi si frange instancabilmente, il grande mistero della pesante terra metamorfosata in viva luce ci porta il presentimento del grande segreto, il permanente infinito.”

Ma occorre guadagnare tutta la confidenza di Sécan per poter avvertire quanto lontano si perdano le nervature del suo tessuto poetico.  Così Waldemar George ha fermato nel tempo il ricordo del suo primo incontro col Maestro:

“Ho incontrato Sécan  tra il 1933 u il 1934, all’epoca in cui Jacques Guenne dirigeva l’Art Vivant.  Epoca ben lontana… Georges Sécan mi sembrava troppo giovane, ma già disegnava con esaltazione e dipingeva con impeto.  Fra le macerie della mia biblioteca, saccheggiata durante l’Occupazione, ho ritrovato dei fogli di carta Ingres coperti di suoi schizzi.  Ho preziosamente conservato il suo ritratto del poeta Max Jacob, di una fattura sobria ed espressiva.

Questo ritratto è l’abbozzo di quello che figura al Museo di Quimper e che restituisce nella sua integrità il volto dell’ultimo paladino del mondo occidentale, morto nel campo di Drancy come un santo e come un martire cristiano.  Sécan, è noto, ama specchiarsi e ispirarsi nell’ambiente naturale che lo circonda.  Dipinge paesaggi, nel senso abituale della parola? No. Niente affatto.  Egli impiega un dialogo con le forze del mondo.  Le sue singolari interpretazioni della natura, non sono riflessi della realtà, così come essa si manifesta ai nostri sensi e alla nostra conoscenza.

All’opposto dei maestri Impressionisti fa tabula rasa di quella luce eternamente mutevole che polverizza tutto quanto è solido e riduce la materia allo stato di un corpo fluido o di un corpo vaporoso.  Contrariamente ai primitivi del Nord, egli on fa l’inventario degli oggetti che ha davanti a sé.  Non esprime né il loro peso, né la loro densità, né i loro valori tattili.  Contempla l’universo con gli occhi puri e affascinati di un visionario.  Egli lo anima, gli infiltra un elisir di vita e lo spiritualizza.  Mentre la maggior parte dei suoi contemporanei concepisce il dipinto come una superficie ricoperta di colori riuniti con un certo ordine, Sécan la umanizza drammatizzandola.

I fiori di Sécan sono fiori leggendari, hanno la bellezza degli insetti diabolici dalle ali fosforescenti.  Questi fiori velenosi si oppongono in ogni senso ai vegetali delle tavole di botanica.  Sono ricavati da una raccolta di meraviglie.  Il loro dominio è il dominio delle fate e dell’incantesimo.

L’angelo bizzarro che lo guida e che veglia sul suo destino trascina Sécan al di là delle scene della vita silenziosa.

Le chimere lo seducono.  Soggiogato dall’incanto, Sécan varca, come l’eroe di Dante, la soglia dell’impero infernale dei dannati.  Ma le tenebre nelle quali egli penetra non hanno il potere di frenare il suo slancio.  Egli le traversa deciso e approda in un reame celeste inondato di luce…”

In quell’alternanza di temi, Sécan vive una sua ricerca irrequieta, che conosce molti contrasti interiori.  Si è già acennato ad alcuni di essi.  Ecco come Claude Roger-Marx vede Sécan sotto questa luce:

“ C’è in Sécan una lotta eroica fra la virtuosità eccezionale, il dinamismo e l’eleganza del suo disegno, dei suoi pennelli – che valsero grandi successi ai suoi ritratti, ai suoi paesaggi, alle sue nature morte – e l’ambizione che lo anima di andare anche al di là degli stessi successi, di vincere ciò che Delacroix chiamava ‘l’infernale comodità dei pennelli’, rinunciando a qualsiasi artificio di materia e a qualsiasi effetto.

Questo ispirato, che conosce a fondo il potere dell’olio, che tratta da virtuoso la fusione dei colori, sia quando gioca sulle velature, che quando schiaccia col manico del pennello un deciso getto d’impasto, perviene a realizzare in rapidità col raggio, il flusso che monta, le nubi cacciate dal vento.

Il suo slancio assomiglia a quello del fiore verso la luce.  Egli ben risente e ci fa condividere – imprigionando vittoriosamente dei grandi spazi -  le sue angosce e le sue tormentate passioni.”

Riprendiamo ora il pensiero di Raymond Charmet, mentre delinea un delicato, completo profilo dell’artista:

“ Ci sono delle orze nelle quali il tumulto opprimente del mondo moderno, il suo implacabile progresso scientifico e meccanico, la sua proliferazione quantitativa e i suoi trionfi materiali ci lasciano insoddisfatti, pieni di dubbio e di segreta nostalgia.  Allora noi ci volgiamo ai poeti, ai musicisti, ai pittori che ci portano quel ‘supplemento d’anima’ che già il filosofo Bergson invocava all’aurora del secolo.  Fra gli artisti che ci rivelano al di là dell’immensità esteriore, l’infinito del mondo interiore, uno dei più avvincenti è il misterioso Georges Sécan.

‘ Cittadino del mondo e gentiluomo della pittura’ come è stato chiamato, Sécan possiede una straordinaria personalità, discreta, modesta, estremamente generosa e attiva, una cultura raffinata, una sensibilità spinta al parossismo, un amore senza limiti per la natura e per gli uomini.   Grande viaggiatore, ha percorso il Nord e il Mezzogiorno, l’Italia, alla quale si è affezionato moltissimo, e anche le lontane contrade dell’Asia e dell’Africa.  Dentro di sé, egli realizza veramente il caso eccezionale di un uomo internazionale, non certo in superficie, ma in profondità.

L’arte di Sécan è fatta a immagine dell’uomo.  Non dipende da nessuna scuola, non appartiene a nessun paese, è al di sopra di tutti.  In lui troviamo insieme un mestiere elaboratissimo, formato prima in Francia, poi in Germania, che è stato perseguito, approfondito regolarmente durante una carriera di una trentina di anni e simultaneamente frutto di tale lavoro, una estrema libertà, in modo che la sua pittura integra in una stupenda sintesi il realismo e l’astrazione che ha ritenuto persino l’attenzione di Paul Klee, con cui ha lavorato, e degli Informali.  Due tratti la caratterizzano: una folgorante rapidità, tanto nei quadri immensi, quanto nelle minuscole tele, altrettanto complete come quelle grandi, e una perfetta economia dei mezzi.  Gli bastano, per dipingere, tre grossi pennelli e sei colori, preparati accuratamente da lui stesso, facendo cuocere delle conchiglie, per ottenere una materia inalterabile: un bianco di zinco, una terra bruciata, un giallo limone, un oltremare, una lacca e un minio.  Mescolandoli con sottigliezza riesce ad ottenere le sfumature più delicate, combinando una sicura e armoniosa unità d’assieme, sia con grigi cupi e raffinati rianimati da bianchi splendenti, sia con ocre purpuree scandite da bruni sontuosi.  La freschezza dell’abbozzo, ottenuta non dalla goffaggine o dalla povertà arbitraria e teorica, come nella maggior parte degli artisti contemporanei, ma nella sicurezza infallibile della padronanza tecnica, ecco il segreto della pittura di Sécan.  Avendo così dominato la difficoltà del mestiere e mostrandosi severo verso la propria opera, di cui scarta spietatamente tutto ciò che non è perfettamente ‘riuscito’, Sécan può esprimere con la pittura quello che lo tocca più profondamente e che dà un senso alle sue tele.

Per lui le cose hanno un linguaggio che i più non sanno capire, resi ottusi dall’aridità del loro cuore, del loro egoismo sensuale e materiale.

Sécan, mentre dipinge, sovente è ossessionato dalla musica poiché per lui le tonalità della pittura corrispondono a quelle della musica.  Questa assimilazione delle due arti, che è stata la preoccupazione di tanti pittori moderni, in particolare degli astratti, è anche quella di Sécan.  Ma egli non al trova come essi in superficiali giochi di ritmi.  Le sue tele non rassomigliano alla ‘Fuga in rosso e blu’ di Kupka, la prima pittura astratta: armonizzano le risonanze e le tonalità differenti conservando a ciascuna il suo proprio carattere, per ottenere una sinfonia pittorica che tocca l’anima.  I temi a figura, un tempo dominanti, appaiono ora saltuariamente nell’opera di Sécan, per il quale tutto, nell’universo,  è intimamente umano. Le sue ‘ Marionettes’, del 1946, gli sono state ispirate dal sentimento della fragilità della nostra specie, che egli sentiva durante l’ultima guerra mondiale, quando la società diventava come un balletto di fantasmi che si stesse svolgendo su un palcoscenico provvisorio.  E’ la commedia della vita che si svolge quotidianamente sotto gli occhi del filosofo.

 Il soggetto fondamentale di Sécan, spesso si trova nella natura deserta, immensa, dove gli elementi compongono un dramma eterno e misterioso.  Egli ha provato davanti a questo mondo così pesante uno sconforto interiore di cui si percepisce tutto il fremito nei tocchi palpitanti del suo pennello.  Questo suo sentimento delle grandi forze cosmiche è molto raro nella pittura occidentale.

Gli antichi chiamavano ‘ grande Pan’ la forza vertiginosa del cosmo che gli uomini cercano di captare per usi di un’efficacia terrificante.  La funzione dell’arte, che un pittore profondo come Sécan, ha capito, consiste nel collocarci di nuovo davanti a questo universo infinito che ci avviluppa così intimamente e che dimentica la nostra civiltà, meschina e momentanea, stordita da illusioni rumorosa.

Forse che già Delacroix non aveva detto:’ Io sono per l’infinito contro il finito’?

L’opera di Sécan è tra quelle che ci recano un messaggio, che è tanto più importante in quanto non si limita solo a una rivolta o a una rinuncia, come tanti altri, o a una sottile ma fittizia invenzione dell’intelletto.  Nell’arte di Sécan c’è una risonanza del cuore, un’inclinazione sensibile per la realtà che egli domina senza cessare di guardarla, di accarezzarla con affetto, in modo che il distacco dei mistici asiatici, come pure l’aspro pessimismo dei romantici del XIX secolo, gli sono estranei.  C’è nella sua pittura un accento di bontà e d’amore che fa vibrare i colori e le forme con una segreta ebbrezza nella quale si intuisce la speranza, sempre viva nel cuore dell’uomo, di ritrovare il paradiso perduto di cui l’arte resterà sempre il testimone migliore e l’ultimo poeta.”

Nessuna cosa sfugge all’attenzione gentile, all’amore del Maestro.  E certo, tra i diversi incanti, quello del paesaggio e dell’umore italiano più toccano la sua sensibilità.  Garibaldo Marussi così lo ricorda:

“ Il caso di Georges Sécan, questo sottile e malioso pittore innamorato del paesaggio italiano e della nostra gente, che va vagabondando per le terre padane, onde afferrarne il senso più segreto, più metafisico, captarne gli aspetti più misteriosi e pungenti, ha qualcosa di sorprendentemente patetico.  E’ come un richiamo musicale che lo fa muovere, qualche cosa di estremamente intimo e di ineffabile, per imprigionare e tradurre quella luce e quella luminosità che lo affascinano e lo intrattengono con un sempre rinnovato miracolo di scoperta.

Ma Sécan è un pittore, oltretutto moderno, e sa con consapevolezza sfruttare il suo innato spirito romantico ottenendo un eccezionale equilibrio fra la ragione e l’entusiasmo della libera fantasia che trasfigura, traducendoli, gli aspetti del reale.

Bisogna accostare l’uomo Sécan, per rendersi conto della stoffa meravigliosa di cui è fatto.  Bisogna avvicinarlo per scoprire quella sua irrequietezza gentile che è alla base del suo carattere, che non gli consente un colloquio prolungato con un interlocutore, perché il suo interesse è altrove, sta nel dialogo da lunghi anni intrapreso con quell’amante esclusivista che è la Natura, mascherando la propria timidità, nascondendo l’empito troppo emotivo del proprio sentimento.

Le sue opere sono tanti strappi spirituali del vero, furti commessi al grande gioco di Pan, lembi di universo.

Nous comparerions volontiers à Prométhée’, leggo in una importante rivista francese ‘cet apprentis sorcier, cet alchimiste en quête de la pierre philosophale’...

Per Sécan pittore, l’arte si presenta come una divinità bifronte : un volto di essa riflette la realtà esteriore, il reale : l’altro, la realtà interiore, lo spirito.  ‘Nella sua pittura – scrive Jean Paul Crespelle in ‘France-Soir’ – c’è il senso diretto e il senso segreto, profondo, di quel suo mondo tragico che è possibile scoprire solo andando al di là delle apparenze.’

Come accadde a Delacroix con un lungo tirocinio, Sécan è riuscito ad impadronirsi dei mezzi che consentono la direzione della potenza espressiva.  E questi mezzi li dirige, li maneggia, come un direttore d’orchestra.

Nelle sue tele, dove spesso trova posto il silenzio, si percepisce un’atmosfera musicale, organizzata dai ritmi. 

Non a caso Delacroix aveva intuito che la pittura, in certi momenti, raggiungeva la musica, là, quando la logica veniva superata, quando i confini di essa ‘ precisi e limitativi’, venivano infranti.

E annotava: ‘ Superiorità della musica: assenza di ragionamento… fascino che essa esercita…’  E parlando della tecnica di Sécan e di Delacroix, cito il giudizio di un noto critico in un brano suggestivo: “ Abbiamo visto( alla recente mostra di Boldini) la veloce brillantezza del tratto di Sécan mentre si ‘ divertiva’ , come diceva, a riprendere alcuni quadri a olio del Maestre ferrarese, impiegando meno tempo di quanto ne occorresse a noi per guardarli.  Dunque è vera la lezione di Delacroix:’ Se non siete capaci di fare lo schizzo di un uomo che si lancia fuori dalla finestra nel tempo che il suo corpo impiega a cadere dal quarto piano non sarete mai in grado di riuscire in  opere di maggiore  impegno’.

Sécan ha una rapidità e una sicurezza nelle sue pennellate, un vigore plastico, che hanno del prodigioso.

Nella veemenza con cui cattura e diffonde la luce schiacciando i valori – spesso anche la ghiera del pennello si imprime sulla tela – si ha l’impressione che Sécan colpisca, e faccia magicamente vivere le cose le più insignificanti…

Occorre penetrare nell’intimità di questo suo mondo carico di sogno e di afflato poetico.  Un mondo che solo a un sognatore, solo a un poeta può appartenere.  E vedendo con quanta soavità e armonia, quanto intensamente questo artista fa cantare la tela e i colori che egli dispone come una partitura, ci veniva spontaneo dire: Schubert, Chopin, Debussy sono a sé, ognuno diverso, ognuno ha la sua personalità.  E vedevamo in Sécan insieme un compositore di musica sacra e profana, per il tempio dell’arte, e un orchestratore entusiasta di… colori.  Colore-musica; Schubert, Chopin, Sécan, Debussy e tutto un succedersi di creature sovrane e di fatti che sono supreme espressioni del bello.” 

La disposizione di Sécan per la musica è un fatto essenziale per la sua pittura, non consequenziale.  Ed è proprio per questo che si possono accostare i toni della sua pittura, ad altrettanti valori musicali.  E’ l’ineffabile che fa la sua comparsa.

Si tratta infatti per Sécan di richiamare dal fondo delle sue prolungate contemplazioni e del suo essere sconvolgenti emozioni ad esprimere l’indicibile…

E poi, come si può difendere un poeta dal languore particolare di un’ora, dal corrusco balenare del temporale, dal vento che straccia le nubi nel cielo?

Questa ansia di scoperta di un senso nuovo, inedito, ci è già stata rivelata da Baudelaire, quando cantava:

“ Affondare nel profondo vortice,

inferno o cielo, che importa!

Nel profondo dell’ignoto per trovare il nuovo…”

E, riprendendo il motivo, ai tempi nostri, Apollinaire proclamava la necessità di impadronirsi

“Di vasti e strani domini

nei quali il mistero in fiore

si offre a chi coglierlo vuole.”

Sécan ha del mistico. Un mistico nel modo di come può esserlo un uomo del nostro tempo, perseguitato dalla estemporaneità delle manifestazioni di questa nostra straordinaria, affascinante ma noiosa, infine, civiltà delle macchine.  Un mistico non per ritorsione intendo, ma per necessità interiore e, per questo appunto, con una sua particolare assunzione al trascorrere sempre più rapido del tempo.  Scriveva lo stesso Sécan in “Kunsthefte” nel 1948: “ Sempre più lontano da se stesso, l’uomo, scostandosi sempre più dalle leggi eterne che regolano e decidono la sua propria vita, sempre più sfrenato nelle sue false e babeliche passioni, quest’uomo ha perso la nozione del Nuovo – il senso eccelso della vita.”

Riaffiorano, ancora, parole di Delacroix, come un monito: “La natura riserva per le grandi immaginazioni future più novità da dire sulle sue creazioni, di quante non siano le cose create da lei stessa.”

Confessioni, pare, scritte apposta per Sécan.

Il paesaggio che egli dipinge, così come i suoi fiori, esce dalla memoria, purificato dagli elementi sensori, che diventano un fatto spurio, un insieme di particolari trascurabili.  La trasfigurazione va aldilà del possibile, va oltre, cioè supera, il conosciuto.  Donde il senso di novità delle sue figurazioni; donde la sottile malia che esse trasmettono a chi le guarda e ne resta percosso.

Rinunciando alla facilità e alla golosità, se si vuole di una interpretazione naturalistica, sacrificando il piacere del dipingere sull’altare della sensibilità allo stato puro, Sécan ricrea per noi un mondo fantastico, nel cui silenzio ci si aspetta l’apparizione della verità; diventa il messaggio di un’altra vita: la rivelazione del mistero.  La pienezza di questa visione costituisce una specie di apoteosi dell’universo, dà il senso e la misura di quella che Claude Roger-Marx – l’illustre critico del Figaro Littéraire – ha definito:

Une sorte de sainteté qu’on voit dans les yeux de Sécan.

Così, nelle sue tele armonia e impressione si sposano con una facilità ineguagliabile e la sensibilità dei sensi è sopraffatta dalla sensibilità dell’anima, provata da angosciosi problemi.

‘Con la frenetica brama’ confessa Sécan ‘ di escludersi dal tempo, di strapparsi alla gabbia dei sensi, verso un Nuovo accordo…’

Ritornando ancora alla musica, vedo Sécan abbandonarsi mestamente alla propria tastiera, nel regno delle note celesti…”

Così ogni accordo di Sécan diventa una melodia.  Giorgio Kaisserlian aggiunge:

“ Georges Sécan reca sempre preziose aggiunte ai momenti più vivi della sua arte.  Sécan va a fondo in se stesso, ha soprattutto ascoltato i moti più intimi della sua memoria e del suo cuore.  Nei suoi dipinti quello che balza in primo piano è quasi sempre un’ondata ritmica e musicale di puri motivi pittorici.  Ma questi motivi mantengono uno stretto rapporto con la realtà: c’è il ‘Grido del gallo? Che squarcia il silenzio della notte e annuncia la luce imminente dell’aurora, c’è la lotta inesorabile, terribile tra elementi che si affrontano sino all’ultimo sangue, c’è il senso di elevazione di anime in preghiera che aspirano al divino, c’è il ritmo, plastico e vibrato nel contempo, di elementi che si placano in una loro suprema armonia, cioè a una volontà crescente di ordine e di luce.  Sécan ci appare dunque in questo suo fervido momento espressivo come un assertore deciso di una pittura tesa a raggiungere le emozioni più profonde che riescano a scuotere l’anima per elevarla sino alla luce.

Sécan affronta insomma con istinti tutti moderni il mondo della visione, cercando di cogliere in ogni contenuto che tratta l’essenza temporale ed emotiva di una presenza nascosta, che il suo estro disocculta e di cui ci reca i battiti ed i tremori più intimi.  Sécan in ogni suo dipinto ci avvia al senso di una presenza interiore, che vibra all’unisono col cosmo.”

Non è però solo un moto interiore.  E’ anche il superamento di se stesso; con lo studio, con la ricerca, con l’impegno.  E’ a questi aspetti di Sécan che Renato Giani rivolge la sua attenzione:

“ impegno della pittura e non secondo come usa dirsi, pittura impegnata.  Chi dipinge è sempre e costantemente impegnato: a una resa, soprattutto, a una i8ndagine, a una scoperta o riscoperta.  Sécan appartiene a quel gruppo di osservatori, anche maliziosi, che indifferentemente passano da un finissimo e autorevole ritratto, a una più libera e demarginata composizione i cui effetti si fanno sentire a una distanza non databile in termini temporali.  Le sue mostre sì, queste fanno data, e si ricordano, anche se è meno facile ricordare la sinuosità variegata di alcuni titoli gioiosamente ironici – ‘Sconvolgente attesa…’, ‘Sacrificio e vocazione’, e ancora su tale metro in apparenza letterario e timbrato dai colori della sua tavolozza.

Quei titoli non sono letteratura, piuttosto appartengono al contesto di una tradizione sentimentale e intellettuale parigina che consente ogni possibilità di fuga e di evasione, e soprattutto di ritorni come meditazioni sui valori timbrici d’una variazione continua del linguaggio parlato che caratterizza la buona pittura.  Ora figurativo e paesista portato ai ‘vasti orizzonti grevi, alle nubi tempestose e teatrali’, come scrive Marco Valsecchi, e sottolinea Dino Buzzati; ora carico d’una disperata necessità ottimistica di affrontare e dichiarare in modi non figurativi e quasi astratti una personale indipendenza e una necessità assoluta di vigilare sulla propria libertà d’uomo, di artista;  il fondo del suo temperamento è presente come una costante linea sulla quale è possibile ordinare un itinerario di modi espressivi che confluiscono in quel che resterà sempre l’eterno della pittura, ovvero essere e restare pittura, e per il pittore essere e restare pittore, qualsiasi sia il medium adottato, il mondo interpretato, le invenzioni o le fantasie onde la leggenda o l’aureola d’artista assuma colore e vitalità.  Sécan è pittore e la dolce violenza dei suoi dipinti non altro è che una sorta di libero sfogo e di vibrante affermazione di tutte le libertà cui civiltà e cultura, insieme, ci hanno abituato. L’arte non è fatta di parole sebbene di silenzio e di mistero.  Sécan interpreta l’uno e l’altro e ne fa ‘pittura’.  Ecco perché per lui usiamo l’espressione ‘impegno della pittura’ e non piuttosto altre formule in voga oggi.”

Un elemento di grande importanza che va rilevato è il fatto che Sécan sia l’unico fra i grandi pittori contemporanei che non sia stato aiutato e lanciato dai mercanti e dalle gallerie.  Le sue opere sono oggi fra le più richieste e raggiungono alle grandi vendite internazionali livelli da primato.  L’arte di Sécan s’è imposta da sola.  Così Giorgio Maschera rileva questo dato.

“Sécan è tra i personaggi più sconcertanti della pittura contemporanea: è infatti al di fuori di qualsiasi corrente artistica, eppure tutti i maggiori critici hanno scritto di lui; è capace di fare un ritratto dal vero in pochi minuti e di girovagare per il mondo per anni interi, ma di tanto in tanto, ama estraniarsi dal mondo e dalla gente per mesi e mesi in un remoto casolare di campagna solo per dipingere con quei suoi colori spettrali, misteriosi che egli stesso ama fabbricare con segrete alchimie. 

Sécan, che pare intenzionato a lasciare l’Europa per l’America, ha avuto un’esistenza quanto mai tumultuosa e ricca d’avventure.

Ragazzo ancora, rivelò un’innata propensione al disegno e si mise alle calcagna di uno zio pittore da cui imparò i primi rudimenti dell’arte e della tecnica pittorica.

Proprio per seguire lo zio, fuggì dalla residenza dei genitori per recarsi a Parigi.  Qui, per mantenersi e per studiare all’Accademia di Belle Arti, senza chiedere nulla ai genitori ( contrarissimi alla sua vocazione artistica) si dedicò ai più svariati espedienti, come ritrarre i compagni di studio senza firmare i quadri e vendendoglieli perché quelli potessero farli credere opera loro.  Per alcuni club privati, poi, dipinse carte da poker e simboli del gioco ed eseguì ( grazie alla prodigiosa facilità dei suoi pennelli) commissioni artistiche d’ogni genere.  Quanto ai quadri che dipingeva per passione, prese a portarli in una galleria il cui proprietario glieli faceva lasciare promettendogli di mostrarli a qualche critico.

Ogni volta, però, che il giovanissimo pittore gli compariva dinanzi, si affrettava a mandarlo via carico di grandi telai perché ‘ si addestrasse’ senza mai dargli neppure un franco in compenso.

Non fosse stato per l’aiuto del facchino di galleria, impietosito dalla timidezza di quel giovane pittore, forse Sécan sarebbe morto di fame e non avrebbe saputo mai la verità, ch’era la più amara e la più deludente immaginabile.  Seppe infatti che quel gallerista vendeva i suoi quadri a prezzi altissimi ai milionari parigini e che gli ultimi erano finiti addirittura in casa dei Rothschild.

Ciò gli lasciò un sordo rancore contro chi specula sui giovani e sulla loro ingenuità.

Se ne sarebbe ricordato molti anni dopo quando, in una sua mostra parigina, espose una donna nuda (che simboleggiava l’arte pura e disinteressata) sulla cui tenera pelle s’avvinghiavano avide sanguisughe, ossia i mercanti senza scrupoli.

Se la lotta per l’esistenza fu il tema ossessionante della sua giovinezza parigina, bisognerà anche dire delle sua esperienze pittoriche sull’antico, dei suoi studi su Rembrandt, delle sue visite al vecchissimo Boldini, cui si sentiva legato dalla naturale disposizione al ritratto e dalla prodigiosa facilità disegnativa. 

 

 


 

 

 Georges Sécan  di  Albert Schulz

 

Su Georges Sécan c’è tutta una letteratura e si potrebbero riempire centinaia di volumi. Se sulla pittura e sulla scultura di Sécan – che hanno raggiunto oggi altissime quotazioni – i critici e gli esteti più autorevoli e famosi hanno scritto da oltre quaranta anni con tanto entusiasmo e con tanti elogi, ciò non è dovuto a gallerie o mercanti, ma alla sua propria arte, al valore reale delle sue opere.

Se faccio questo panegirico di Sécan è perché, parlando per caso di lui con un grande gallerista olandese, mi sono reso conto quanto sia subordinato all’opinione dei mercanti d’arte, il destino di un pittore.  Il fatto che un grande artista rifiuti di affidarsi e di mettere le sue opere nel giro di vendita predisposto da potenti organizzatori d’arte e dai loro agent-press, significa essere apertamente combattuto e boicottato.  E ormai, nella nostra società consumistica, non è più la qualità che conta, ma il nome.  Come può avvenire per una marca di lamette da barba che, non trovandosi esposta e reclamizzata in tutti gli appositi negozi, viene automaticamente ignorata anche se è superiore alle altre.  Quale commerciante farebbe l’elogio della marca di una merce che non possiede?

Per il mio amico Olandese, che considera Sécan uno dei più grandi pittori contemporanei, il fatto che egli abbia conquistato nome e celebrità al di fuori di qualsiasi giro commerciale, è un caso unico.  Devo dire che la natura ha dotato questo pittore, così geniale e così modesto, di una probità e di una nobiltà di carattere oggi assai rare.  Come tanti illustri critici hanno scritto, “egli è un uomo completo dal punto di vista artistico, umano e intellettuale, che opera in silenzio, perduto dietro ai propri sogni e alle proprie fantasie.  Egli vive lontano dall’ambiente mondano, dalle manifestazioni e dai pettegolezzi di cui si compiacciono gli artisti”.

In una monografia dedicata a Sécan da Waldemar George, Raymond Charmet  scrive: ” Ci sono delle ore nelle quali il tumulto opprimente del mondo moderno, il suo implacabile progresso scientifico e meccanico, la sua proliferazione quantitativa e i suoi trionfi materiali ci lasciano insoddisfatti, pieni di dubbi e di segreta nostalgia.  Allora noi ci volgiamo ai poeti, ai musicisti, ai pittori che ci portano quel ‘supplemento d’anima’ che già il filosofo Bergson invocava all’aurora del secolo.

Tra gli artisti che ci rivelano, al di là  dell’immensità dell’universo esteriore, l’infinito del mondo interiore, uno dei più avvincenti è il misterioso Sécan.

Egli possiede una straordinaria personalità, discreta, modesta, estremamente generosa e attiva, una cultura raffinata, una sensibilità spinta al parossismo, un amore senza limiti per la natura e per gli uomini.  L’arte di Sécan è fatta a immagine dell’uomo.  Non dipende da nessuna scuola, non appartiene a nessuna corrente, è al di sopra di tutti.  In lui troviamo un mestiere elaboratissimo, formato prima in Francia, poi in Germania, che è stato perseguito ed approfondito con estrema libertà, in modo che la sua pittura integra, in una stupenda sintesi, il realismo e l’astrazione.  La freschezza dell’abbozzo ottenuta non dalla goffaggine o dalla povertà arbitraria e teorica, come nella maggior parte degli artisti contemporanei, - nonostante che egli crei in stato di grazia – ma dalla sicurezza infallibile della padronanza tecnica, ecco il segreto della pittura di Sécan.”

Nei versi dedicatigli dal poeta premio Nobel Montale, Sécan “ vive in un Paradiso terrestre che a noi mortali non è concesso”.

Ho conosciuto l’artista da vicino.  Certo egli non è un marziano, ma con i suoi pensieri, con la sua filosofia brahmanica  o asiatica che sia – che d’altronde gli dà la concentrazione necessaria a creare – partecipa molto meno di noi alla vita terrestre che Dio ci ha dato.  Sécan non fa parte di nessuna cerchia di pittori, la sua pittura è originale, è unicamente sua.  Le riunioni, le manifestazioni artistiche per lui non esistono, e se lo troverete qualche volta in un salotto, in mezzo agli invitati, posso assicurarvi che egli è capace di guardarsi in giro e di fissarvi negli occhi senza vedervi, preso com’è dal fare astrazione di tutto, perso in una delle sue sensazioni metafisiche.

Se molti tra i maggiori pittori contemporanei fra cui Picasso, parlando della loro arte dicono di non cercare, ma di ‘trovare’, in Sécan – che per me li supera con la fantasia e l’originalità delle sue opere – più che in qualsiasi altro, l’intenzionalità è davvero esclusa completamente.  Ho visto dipingere Picasso e ho visto dipingere Sécan.  Dal primo, la mania della ricerca e l’intento nel fare sono manifesti, mentre da Sécan, tutto scaturisce da un impulso istintivo, senza ambiguità, senza esitazioni di sorta.  Le grandi masse di colore che si amalgamano, che si animano, quasi a rispecchiare il magma psichico che giace in noi, diventano subito una forza vitale, creativa, indipendente dalla coscienza dell’artista.

E sulla tela l’opera si realizza in modo così naturale che sembra la manifestazione flagrante di un fenomeno della natura.  Si potrebbe dire che la pittura di Sécan nasce già compiuta.  Tutto si svolge e si crea magicamente. 

Mediante una intensa concentrazione Sécan non solo esclude la realtà e se stesso, ma va oltre i limiti della psiche del solito subconscio.  E’ un genere di contemplazione metafisica che egli chiamò “Transpresenza”, con la quale riesce a collegare il suo saper dipingere – ormai profondamente acquisito – a un istinto più autentico e più vitale, a un forte impulso proiettato da forze primigenie ancora latenti in noi.

Nella trance più o meno intensa che lo travolge, Sécan coglie immagini e impressioni non solo dagli strati più profondi della psiche ma anche della psiche a noi più vicina e quasi cosciente.  E ciò con la stessa foga, con lo stesso dinamismo scaturiti da queste forze represse e quasi dimenticate che fanno il vero fondo dell’uomo.

Michel Tapié, il padrino dell’informale, uno dei promotori e migliori critici dell’astrattismo, considera Sécan uno dei “ leader” dell’arte moderna e scrive nel saggio “ Storicamente parlando”:

“ Non è il minor merito di Sécan aver creato già negli anni 1942-‘44 opere morfologicamente e liricamente “ autres”.

Egli, fortunatamente, supera l’informale perché lo significa artisticamente”.